La sveglia suona alle cinque e un quarto. Ah no, è il gatto.
La sveglia suona alle sei.
Non sono abituato a sentirla, suona come una tortura.
Mi aspettano in una caserma in mezzo alla Francia. Ho consegne precise: lavorerò in una stanza senza internet, non potrò toccare la tastiera, detterò i comandi a un operatore. Ben inteso, siamo al livello di sicurezza più basso, ma già lo trovo eccitante.

La metro alle sei è blindata di gente che va al lavoro. Osservo come la disciplina, in tutte le culture, sia legata allo svegliarsi presto. Come se il sonno rendesse vulnerabili e quindi inclini all’obbedienza. I militari, i monaci, gli spazzini. La disciplina è una merda. Dovrebbero pagarla meglio.

In treno leggo Histoire d’O, storia di sottomissione che mi irrita quanto mi eccita. C’è qualcosa di primitivo qui.
« Attendeva qualcosa di più di un permesso, poiché il permesso l’aveva. Attendeva un ordine »
Ordini: non li ho mai eseguiti e non li ho mai imposti.

La caserma è scarna ma pulita. Niente a che vedere con le startup: niente piante, niente caffè gratis né frutta fresca. Militari. Sono militari. In fatto di cannoni, preferivo la California.
L’operatore a cui devo dettare, il tastierista, si chiama Michel.
Alla batteria Laurent. Sorrido pensando che “batteria” si usa per l’artiglieria ma anche per i polli.
Al microfono… non ricordo il nome. Tutti lo chiamano “mon capitain”, vorrei salire sul tavolo e urlare “mio capitano!”. Analfabeti, non capirebbero.

Eppure c’è qualcosa che mi suscita stima.
Credo: quella solidarietà di chi vive realtà parallele, concrete, dove essere uniti discrimina l’essere vivi.
Quella solidarietà che ho assaporato tre volte nella vita: in Serbia tra la fine della guerra e l’inizio della povertà, a Strasburgo in mezzo a un attentato, e a Ravenna quando ha nevicato. Situazioni estreme dove eri un essere umano prima di qualsiasi altra sovrastruttura.

Non sopporto perdere tempo ma, guardandomi attorno, a nessuno qui spiace attendere. Abiti militari, faccio domande idiote sugli stemmi. Il vuoto dell’esistenza non li tocca, neanche quando è la propria. Rivedo la fine dell’impero romano per come l’ho studiata – malissimo, la fine del capitalismo e non è detto, come credevo da giovane, che sarà una fine felice.

Mi aspettavo di meglio dalla fine del mondo.
E invece, questa vita, è magnifica. Mi aspettavo vagoni di merda da spalmarmi in faccia. Una pelle liscissima. E invece è magnifica.
E ancora non so perché mi pagano.