Sabato sera. L’auto è sporca, troppo tempo che non piove. Mi faccio una canna e la guardo fumarsi da sola.
Pulisco come riesco il parabrezza. Forse era meglio prima. Metto Claire nello stereo, giro la chiave e accelero tra luci e riflessi nel peripherique.
Parcheggio in doppia fila al dépôt minute di Gare de Lyon, doppie frecce, doppia vista, socchiudo gli occhi e metto a fuoco l’ingresso. Che non s’incendia.
Puzza di piscio, qualcuno nel sottopasso si muove tra i cartoni. Salgo le scale, tengo basso lo sguardo mentre sfilo tra la polizia. Collezione primavera 2014, vi piace stronzi?
C’è poca gente, luce al neon e pavimenti di detersivo. Penso al calcio saponato.
Controllo il tabellone degli arrivi e mi sposto in sala d’aspetto che non è una vera sala ma un angolo della stazione dall’aspetto asettico con poltroncine e pianoforte. Il pianoforte è uno dei tanti che la mairie ha disseminato qua e là nel tentativo, non so se vano o disperato, di bilanciare lo squallore privato con la bellezza pubblica.
Si avvicina un ragazzotto negro, vestito di nero, berretto in testa e fascia arancione al braccio. È della sicurezza.
Si siede al piano e inizia a suonare per niente intimidito dai tasti, morbido, il Brian Eno di Gare de Lyon. È bravo, musica per viaggiatori e io mi lascio viaggiare.
Chiudo gli occhi, mi immagino una famiglia povera, lui che studia solfeggio nelle poche ore libere, la fatica di mantenere la madre e la sorellina, il ripiego su un lavoro sicuro e altre stronzate da film per bianchi.
Mi trattengo dal registrare e rimango a occhi chiusi.
Tre minuti di umanità poi d’improvviso smette, la ricetrasmittente gracchia qualcosa, risponde arrivo subito e si allontana veloce.
Ci sarà qualche tossico da sbattere a terra, bloccare, costringere,
i documenti prego,
agli ordini maggiore,
signor sì maggiore
ho chiuso in si maggiore.