Vado a un appuntamento per vedere un appartamento.
Questa storia che sto cercando una casa più spaziosa mi sta portando allo sfinimento. Mi torna sù la lotta di classe e se continua così finisce che mi compro la kefiah, e la Smemo.
È tipo la trentesima casa che vedo negli ultimi due mesi. La maggior parte delle case fanno cagare anche a uno come me che ha dormito sui pavimenti dei treni e ha pulito il centro sociale dalla merda (in senso letterario, ma non come il caffé: come la merda).
Alcune case però sono carine e mi ci vedrei, tipo quella con la vasca in camera o quella col frigobar in cesso.
Di solito le case a Parigi sono dotate di cantina. La cantina io ci guardavo le prime volte, perché speravo di trovarci il vino, invece è un false friend. In pratica è una stanza di un metro quadrato, sotto terra, umida e buia, rigorosamente vuota, in cui puoi accumulare lontano dagli occhi le cose che non ti servono ma che è un peccato buttare, così le appoggi lì e i topi pian piano se le mangiano.
Se hai la fissa della cantina come me, quando vai a vedere una casa chiedi ma c’è la cave? e loro, i proprietari, stai sicuro che ti dicono sì, ci sarebbe (sarebbe) ma (ma) è occupata dalle mie cose che sai non sapevo dove lasciarle, quindi non è inclusa.
Non voglio fare l’arancione, ma Buddha di un cane ma che problema c’avete con gli oggetti?
Ho assistito poco e male alla scomparsa di parenti e amici, ma ho notato che quando una persona muore lascia montagne di stronzate importantissime che un giorno avrebbero potuto essergli utili, le lascia lì in balia di parenti che non ne percepiscono il potenziale e nel migliore dei casi le regalano tirando porconi e nel peggiore dei casi le bruciano insieme al garage. Tirando porconi.
Siamo pieni di stronzate, non sappiamo più dove metterle ma non le regaliamo perché non è un buon affare, non le buttiamo perché non si sa mai, dobbiamo squattare le cantine dei vicini, noleggiare dei box, infilarle nei sottoscala, e non ci serviranno mai a un cazzo.
Alla nostra morte i parenti andranno al confino, tipo Napoleone ma sull’isola ecologica. Non torneranno più, passeranno il resto della loro esistenza cercando il contenitore giusto dove smaltire il betamax.
Non so perché ma stasera mi viene la parolaccia facile. Cioè sì lo so il perché, perché mi sono rotto le palle di vedere case di merda, claustrofobiche, a millecinquecento euro ma la cantina non è inclusa perché sa’, mia figlia prima di partire per newyork non sapeva dove mettere i bambolotti e il sybian. E io me li vedo i topi dormire sugli orsacchiotti e giocare a calcio saponato sul latex.
Il mondo sarebbe spazioso il doppio senza tutta questa cianfrusaglia.
Guardo Rodrigo, dorme pacifico incurante di avere qualcosa nel cappello ma è convinto che sia un portafortuna. Queste masse che gli crescono ovunque, poi diventano dure e s’ingrossano ancora, sono come orologi da polso. Clessidre del suo color sabbia.
Bisogna parlare alle masse, dicono al bar.
Ho già perso due cani e due gatti, ormai so come funziona. Presto arriverà il giorno in cui piangerò per lui, e in cui ammirerò quella sua capacità di andarsene lasciando appena due ciotole (possibilmente vuote), una lettiera (possibilmente sporca) e peli beige sui maglioni (possibilmente neri).
Il decimo comandamento degli indiani d’America:
Gioisci nel viaggio della vita senza lasciare orme.