C’è una ragazza africana seduta sulla panchina, mangia del cous cous precotto, freddo.

C’è un gatto beige sul divano, di giorno dorme insospettabile, di notte si mette il mantello e va a cagare nelle fioriere della vicina.

Ci sono io che passeggio per casa mentre parlo al telefono con mia mamma. Come facevano quando la cornetta aveva il filo? Cani al guinzaglio, Cristo.

Ci sono i miei stupendi gerani, diciamocelo: molto più belli di quelli della vicina, un’esplosione di fiori rossi che ogni mattina mi dà il buongiorno.
E insieme a loro le mie piante di basilico, profumate, generose.
E l’avocado e l’ibisco. Qualche ape ogni tanto.

Poi c’è una vecchia caucasica, bassa, capelli arancioni come i giubbotti salvavita, ma senza fascia catarifrangente.
La si vede bene lo stesso.
La si vede bene mentre punta il basilico. La si vede mentre lo osserva da vicino, mentre allunga le mani, stringe un grosso ramo e si accinge a strapparlo.
Si vede me che scosto la tenda, che apro la finestra e gesticolando le dico madame mais porc dieu les géraniums sont les miens pas les vôtres brutta maleduquée si vergogni, e la fisso cercando di sotterrarla con lo sguardo prima che l’invecchiamento cellulare mi anticipi.
Si vede lei sorpresa. Attimi infiniti come attimi.

Prendo la pistola. Non ce l’ho.
E poi è ancora giorno.
E poi non siamo mica in Italia.
E poi guardiamo le cose come stanno: lei ha paura quanto me. Si sente braccata, magari stava rubando perché aveva fame, anzi voleva portare un buon pesto a casa al marito, anzi alla figlia malata in osp– «merci» dice strappando il ramo, e se ne va a tutta birra.

«merci»? Vecchia di merda. Torna indietro. Dovrebbero toglierti la pensione dovrebbero.