Se la Tour Eiffel è un lampione che spunta lontano tra i palazzi, il Notre-Dame te lo trovi continuamente tra i piedi ad ogni passeggiata. È il centro non solo di Parigi, ma della Francia. Te lo dice un sanpietrino dorato lì davanti.
Come spesso accade, il lato più bello del Notre Dame non è la facciata ma il retro, dove le geometrie si accavallano e si appoggiano stanche ai contrafforti.
Lì, lungo la Senna proprio di fronte al culo del Notre-Dame, dove siamo soliti fare picnic, lì avremmo potuto vederlo bene l’incendio.

Un momento. Per capire bene cos’è successo ieri, bisogna prima inquadrare una cosa: i pompieri.
I pompieri qui sono prima di tutto dei sex symbol. Godono di una fama smisurata, sono rispettati e ammirati, corteggiati, suscitano le simpatie di tutti. La versione parigina dei nostri bagnini, ecco.

Ieri sera ero lì, come tanti altri, a guardare quel grande braciere spegnersi.
C’era un silenzio tombale, e quell’odore di legna bruciata che ti si attacca ai vestiti come in quei sabati in spiaggia in cui ti siedi dal lato sbagliato del falò.
E gente, gente ovunque, ammassata con la birra, coi telefonini che squillano, coi led lampeggianti dei monopattini, gente che sgomita per farsi largo, gente da selfie col flash, da foto col tablet, gente del posto e gente turista.
Silenzio dicevo, o una buona approssimazione. Poi qualcuno ha strillato entusiasta che i pompieri avevano appena dichiarato salva la struttura portante, e tutti siamo esplosi in un applauso, incontenibili urla di gioia, e una voce accanto all’altra si è unita a un coro, un coro che improvvisava una canzone da chiesa che nessuno sapeva ma una volta diceva «Merci Notre Dame» (grazie, nostra signora) e una volta «Merci les pompiers» (grazie, pompieri).
E c’era quella bella sensazione di fratellanza che troppo spesso ci sfugge.

Ora non è che quel simbolo sia sparito, gli manca giusto il coperchio. Non facciamone un dramma.
La storia è piena di cose che vanno a fuoco, che vanno a pezzi, che vanno perse.
È che anche quando c’era, il Notre-Dame col suo tetto, non funzionava così bene.
Erano anni che quella cattedrale non serviva più a quel che doveva servire: a tenere stretta una comunità.
E ieri sera quel ruolo l’ha assolto.

In quelle mille lingue e sfumature di pelle, in quei cellulari, in quel cattivo gusto, mancanza di grazia, morbosa curiosità, voci alte, tute di pile, commenti inopportuni, voci stonate, è proprio lì in quelle mille storie che si riassume l’esperienza umana.
Non è poi ‘sta gran comunità, ma è.