Prendi l’altra sera, distesi sul divano ciascuno con un buon motivo per festeggiare: Stefano aveva concluso una convivenza, Antonella aveva mollato il suo ex, Anna era appena emigrata e io, io quella mattina mi ero licenziato dalla mia società.
Abbiamo stappato uno champagne pregiato e ce lo siamo tracannati come fosse stato uno chardonnay: non un’annusata agli aromi, non un accenno di indagine sulle suggestioni dei retrogusti, non uno sguardo all’etichetta. Come barboni col tavernello, appagati dal risultato e indifferenti ai metodi.

Il pensiero non ha il gps e a volte si perde in strani percorsi: senza ragione il mio è tornato indietro di sette anni.
Quando la mia prima donna mi lasciò, si scopava un tossico. Lo accompagnava amorevolmente a comprare l’ero con la mia auto, poi con tenerezza lo guardava bucarsi, quindi si faceva scopare un po’ e alle quattro di notte tornava nel mio letto senza nemmeno farsi una doccia.
E senza nemmeno avermi fatto benzina.

Ogni tanto mi raccontava di quanto piccolo ce l’avesse, e che le volte in cui lui provava a metterglielo nel culo non gli tirava abbastanza per via della roba. Così per cinque mesi.

C’era un tizio di Bologna – mi disse un’amica – che per poche migliaia di euro l’avrebbe potuto fare fuori, il tossico.
Io non avevo nulla in contrario, mi sembravano soldi ben spesi. Così feci come già facevo col dentista, con le visite mediche e coi lavori ben pagati: procrastinai.
Procrastinai, procrastinai ancora e ancora, e a furia di procrastinare ancora e ancora, la rabbia passò da sola.

Sono passati sette anni. Se solo non mi spaventasse così tanto la riconoscenza, gli stringergli la mano ringraziandolo per avermi salvato l’esistenza. Salvato dalla donna sbagliata, dalla routine, dalla mia timidezza, dalla negatività che mi circondava. Gli offrirei una birra o un buco a quel tossico del cazzo, sempre se fosse ancora vivo.
Qualche mese di dolore è un prezzo abbordabilissimo, te la tirano dietro oggi la libertà.

Amica mia, prendi qui il fazzoletto.
Dovresti starmi ad ascoltare: le sfighe vanno festeggiate. Dove tieni già il cavatappi?