La vita è una ruota,
e due ruote fanno un ciclo,
e i cicli si ripetono continuamente,
si ripetono come i vecchi
sordi alla noia d’altri.

Umberto Lorenzoni ha due cose: 91 anni e la patente.
Faceva il partigiano quando non ne aveva ancora diciotto, partigiano di quelli che sparano non di quelli che si fanno la tessera.

Ogni volta che prende l’auto è un brivido, ma non è più come un tempo. Allora c’erano gli ideali, la sicurezza che avrebbe pagato chi doveva pagare e che sarebbe stato perdonato chi era innocuo più che innocente.
Umberto ha parole semplici. Mentre noi parliamo della morte per come l’abbiamo studiata e ricamata, divagando sui paradossi, lui la tratta come una vecchia madre che lo aspetta in piedi, preoccupata che non gli sia successo qualcosa per strada.
Umberto ha conosciuto il mondo senza televisione – la guerra è pronta vieni a tavola prima che si raffreddi – e custodisce una fetta di storia durata pochi mesi ma che mesi, seguiti da anni e anni molto meno movimentati perché la storia è immensa ma per lo più banale.

Quando descriviamo l’universo parliamo di stelle e pianeti, ma l’universo è per la maggior parte vuoto, e per vuoto intendo che non accade nulla di diverso dal solito.
La stella è un’eccezione, il pianeta è un’eccezione. Come nei film, raccontando teniamo il meglio; ci lisciamo le palle col rasoio di Occam.

Nei due mesi in cui ho lavorato da archivista, una bottiglia di rosso a pranzo, mi capitava di sfogliare faldoni pieni di lettere di soldati al fronte. Erano lettere noiose e sgrammaticate, indirizzate ad amanti sconosciute talvolta chiamate mogli e a bambini sconosciuti talvolta figli, psicoterapia militare prima che inventassero l’LSD.
Immondizia priva di valore, se non statistico.
Le persone: mandarle a scuola, non in guerra.

Ero commosso l’altro giorno mentre Umberto parlava di Sonia alla festa in sua memoria. Dei partecipanti ricordavo le facce ma non i nomi, gli eventi ma non i luoghi, le parole ma non le intenzioni.
Ricordavo un paio di vite prima di questa.

Poi, tornato a casa, ho scoperto che erano crollati i pensili della cucina. Si erano staccati dal muro distruggendo quel che c’era sotto e quel che c’era dentro.
Mi sono sforzato di guardare la cosa dall’esterno, anche perché un pensile dall’interno è piuttosto buio. I soldi li abbiamo inventati apposta per rimediare agli inconvenienti, diceva una volta Vonnegut mentre io annuivo, e ormai che ho annuito non posso più lagnarmi: si è ricchi in proporzione al numero di piatti che si possono ricomprare.

Del resto ho ormai 37 anni, che età del cazzo: ci possiamo permettere i ristoranti bio, ma non abbiamo più appetito sessuale. Sbadigliamo – che serie hai visto ultimamente? – presi dalla noia – uh sì l’ho vista anch’io, carina – del benessere – aspettiamo la seconda stagione.
L’età del bisogna guardare avanti. Guardiamo avanti perché in basso non vediamo più l’uccello.

Io dico che la morte, dico che la vivo bene, più che un traguardo mi sembra una curva in discesa su una bicicletta senza freni.
Io dico che la morte in realtà vorrei viverla come Rodrigo, che la mattina in cui in un angolo del pavimento giaceva Lenin senza vita, miagolava per la fame.